Il dottor Luca Balzarini spiega come affrontare questi esami e come il radiologo sceglie tra le numerous opzioni diagnostiche
A livello diagnostico, raggi e TAC sono ormai indispensabili per la valutazione di molte patologie e infortuni. D’altro canto, si tratta comunque di strumenti caratterizzati dall’uso di radiazioni ionizzanti, che possono essere frutto di preoccupazione per i pazienti. Per questo, il dottor Luca Balzarini, Direttore Dipartimento di Diagnostica per Immagini IRCCS Istituto Clinico Humanitas, ha spiegato come ogni scelta sia ampiamente ponderata e giustificata e come ogni radiologo decida l’intervento più adeguato in base alla patologia.
Dottore, in che modo si resolve se fare i raggi o una TAC?
“La scelta è fatta in funzione della patologia. Facciamo un esempio: se c’è una sospetta frattura di un osso in un trauma sportivo, la prima cosa da fare è uno studio radiologico tradizionale. In un politrauma da incidente stradale, dove può esserci anche il rischio di interessamento di visceri interni o dei polmoni, il passaggio alla TAC invece è essenziale, perché ha come caratteristica fondamentale rispetto alla radiologia la ‘latitudine di contrasti’, cioè la possibilità di rappresentare per immagini organi che hanno densità completamente numerous”.
Quindi la TAC è più appropriata quando è necessario verificare le condizioni degli organi?
“Con la TAC vediamo e giudichiamo la presenza di patologie polmonari, dei vasi, del parenchima epatico, insieme all’osso, cosa che invece con uno studio radiologico tradizionale non possiamo fare. L’altro grande vantaggio della TAC consiste nella possibilità di usare il mezzo di contrasto, per verificare la vascolarizzazione, il fegato, la milza, i reni, e capire come le lesioni di questi organi vengono vascolarizzate”.
Quali sono i rischi legati all’utilizzo delle radiazioni?
“I rischi legati alle dosi sono tali sia per la radiologia che per la TAC, chiaramente con dei dosaggi diversi. Diciamo che il rapporto va da 1-6 a 1-8 tra raggi e TAC, quindi quest’ultima dà delle dosi di radiazioni da 6 a 8 volte superiori rispetto alla radiologia tradizionale. I rischi legati alle radiazioni sono di due livelli diversi: uno non lo consideriamo perché è legato a quantità altissime, come nelle catastrofi nucleari, a noi interessa il rischio diagnostico che invece è probabilistico, non ha una vera e propria soglia. Un po’ come il rischio del fumatore: teoricamente anche una sola sigaretta può provocare una trasformazione genetica che porta alle neoplasie, però è chiaro che se ne fumo tantissime il rischio è superiore”.
Quindi sta al radiologo capire come è necessario agire?
“Non esiste una soglia minima, ed è questa la ragione per cui tutte le volte in cui si resolve di utilizzare le radiazioni ionizzanti il radiologo deve tenere conto della ‘giustificazione’: riassumendo, ogni esame radiologico deve essere giustificato. Facciamo un esempio: se noi prendiamo la macchina per andare da Bologna a Milano, non abbiamo la certezza assoluta di arrivarci, potrebbe spegnersi la macchina, o potrebbe esserci un’incidente, ma utilizziamo comunque l’vehicle perché riconosciamo che il rischio è molto più basso rispetto alla nostra necessità. Con le radiazioni è la stessa cosa: io decido di usarle perché devo risolvere un problema diagnostico, per esempio valutare le condizioni di un polmone. Il radiologo non deve aver paura di fare troppi esami: pensiamo advert esempio ai pazienti oncologici, o al periodo del Covid, dove è stato necessario fare tante TAC ai polmoni nel giro di poco tempo. In quel caso ci assumiamo un rischio necessario per by way of della patologia. La cosa importante è evitare di fare esami inutili e scegliere sempre lo strumento più adatto e meno rischioso. Per esempio, se devo valutare un angioma del fegato posso farlo sia con una TAC che con una risonanza, e potendo scegliere opterò per la risonanza, perché non utilizza radiazioni”.
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