Mondiale rugby, Argentina-Inghilterra, in palio il terzo posto



I Pumas sempre sconfitti nei 4 precedenti iridati, ma vogliono riscrivere la storia: dalla passione di Che Guevara al miracolo del 2007, nel Paese dove la palla ovale fu portata dai britannici

Roberto Parretta
@robertoparretta

C’è un legame curioso fra l’Argentina che nel 2007 conquistò il terzo posto al Mondiale di rugby, miglior piazzamento di sempre, e la squadra che domani alle 21 a Saint-Denis sfiderà l’Inghilterra nella finalina del Mondiale 2023: anche allora i Pumas iniziarono e chiusero il torneo sfidando la stessa squadra, che 16 anni fa era stata la Francia padrona di casa. La differenza sta però finora nei risultati: allora l’Argentina vinse entrambe le sfide, stavolta parte dalla sconfitta patita nel match di esordio. Una sconfitta inaspettata e arrivata in maniera bislacca, con gli inglesi costretti in inferiorità numerica dal 3’ per il rosso a Tom Curry, ma capaci di ingarbugliare il gioco avversario e di vincere poi 27-10 grazie ai 6 piazzati e 3 drop di George Ford.

IL CHE, IL SIC, IL ROSARIO CENTRAL

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Le due squadre si erano affrontate anche nella semifinale del Mondiale giapponese di 4 anni fa, quando l’Inghilterra s’impose per 39-10 in semifinale. La tradizione nei confronti giocati nel torneo iridato, d’altronde, pende totalmente dalla parte della Rosa con altre due vittorie: 24-18 in Sudafrica nel 1995, 13-9 in Nuova Zelanda nel 2011. Che il rugby in Argentina sia arrivato grazie agli inglesi è noto, ma c’è un aneddoto molto meno noto che racconta di come questo sport fosse stato circondato per decenni dal generale disinteresse degli argentini. Ernesto El Che Guevara, si sa, in gioventù era stato un discreto giocatore di rugby, apprezzato e soprannominato il “Fuser”, dall’acrasi tra la parola “furibondo” e il cognome della madre “de la Serna”: ci ha giocato per 9 anni ricoprendo vari ruoli, da mediano di mischia a terza linea, tra l’Estudiantes di Cordoba e il San Isidro Club (per tutti semplicemente SIC), uno dei club da sempre più importanti nel paese. Nell’agosto del 1961, quando ricopriva il ruolo di Ministro per l’Industria a Cuba, entrò segretamente in Argentina per incontrare il presidente Arturo Frondizi: nessuno sapeva che quella sarebbe stata l’ultima visita del Che nel suo paese natale. Durante il tragitto dall’aeroporto di Ezeiza al palazzo presidenziale, il piccolo e segreto corteo passò proprio davanti allo stadio del SIC e il Comandante chiese all’autista: “Insomma, come sta andando il SIC ultimamente?”. E l’autista rispose con un perplesso “come sta andando chi?”. Dalla risposta, il Che comprese che il rugby non era riuscito ancora a far breccia tra le passioni dei suoi connazionali, quindi si corresse, forse per fare bella figura: “Volevo dire, come sta andando il Rosario Central?”, visto che tutti sapevano che quella era la squadra di calcio più importante della sua città natale, nella provincia di Santa Fe. Tanti anni erano passati da quando all’inizio del diciannovesimo secolo gli inglesi avevano esportato rugby e calcio in Argentina, ma evidentemente, chi lo praticava come Che Guevara non aveva idea che tra la gente fosse invece così poco conosciuto.

ELITE CONTRO POPOLO

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Gli esordi del rugby in Argentina sono quasi indistinguibili da quelli del calcio, visto che agli inizi nella stessa Inghilterra non esisteva ancora una chiara differenziazione tra i due sport, con dati e riferimenti storici piuttosto ambigui. E anche perché le regole dei due sport non erano state ancora formalizzate, né a livello nazionale né internazionale. In Argentina, oltretutto, spesso venivano praticati entrambi gli sport, visto che gli inglesi avevano creato e gestivano club polisportivi all’interno dei quali venivano praticati anche canottaggio, cricket e tennis, per tenere legata la comunità di connazionali emigrati affezionati agli sport nazionali. Contrariamente al calcio, però, il rugby non si è affermato come un forte simbolo di “identità argentina”. Una difficoltà legata anche allo stato sociale dei praticanti, visto che il rugby è storicamente legato all’elite, al contrario del calcio, essenzialmente popolare. Secondo Martin Caparros, giornalista e scrittore argentino, “mentre i calciatori erano bruni, trovatelli, poveri e ignoranti, i giocatori di rugby erano biondi, ben fatti, ben educati e dilettanti: perché non avevano bisogno di soldi”. La sua opinione, però, non è condivisa da tutti, nemmeno da Gonzalo Quesada, storico mediano di apertura della nazionale argentina e neo c.t. dell’Italia, che in una vecchia intervista a Le Monde rispose così: “È vero che alle origini il rugby era uno sport borghese ed elitario in Argentina, ma le cose si sono evolute, anche se in Francia e altrove continuano a guardarci in quel modo. Però, grazie ai progressi e ai risultati dei Puma dal 1965 fino all’exploit del 2007, quando arrivammo terzi, oggi questo sport non è più considerato esclusivo e nei club c’è un mix di componenti sociali differenti”. Quel terzo posto, segnò il punto di svolta: “Subito dopo il Mondiale, le iscrizioni alle squadre di rugby aumentarono del 20%”, racconta l’ex capitano della nazionale Adolfo Etchegaray. Ecco perché per l’Argentina la partita di domani sera potrebbe segnare un nuovo punto di svolta: battere la nazione che ha esportato il rugby nel mondo potrebbe dare un nuovo slancio a un movimento comunque ormai stabilizzato su una crescita costante. Perché poi ci saranno comunque nuove generazioni da crescere e provare a puntare ancora più in alto.

COSI’ IN CAMPO

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Sul fronte delle formazioni, il c.t. inglese Steve Borthwick ha varato 8 cambi rispetto al XV schierato in semifinale con il Sudafrica: recuperato dalla concussion che gli aveva fatto saltare l’ultima partita, Marcus Smith si riprende la maglia di estremo, con Freddie Steward che scivola all’ala al posto di Johnny May (fuori dai 23), Henry Arundell rimpiazza Elliot Daly all’altra ala, Sam Underhill giocherà flanker al posto di Courtney Lawes (che con il Sudafrica ha giocato la sua ultima partita internazionale), mentre è infine tutta nuova la prima linea con il tallonatore Theo Dan e i piloni Will Stuart ed Ellis Genge. Molto più conservative invece le scelte del c.t. Michael Cheika, che vara solo 3 cambi nella sua Argentina: la seconda linea Pedro Rubiolo, il mediano di mischia Tomas Cubelli e il centro Jeronimo de la Fuente prenderanno il posto rispettivamente di Tomas Lavanini, Gonzalo Bertranou e Santiago Chocobares (tutti fuori dai 23).

INGHILTERRA-ARGENTINA (27 OTTOBRE, ORE 21)

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Inghilterra15 Smith; 14 Steward, 13 Marchant, 12 Tuilagi, 11 Arundell; 10 Farrell (c), 9 Youngs; 8 Earl, 7 Underhill, 6 Curry; 5 Chessum, 4 Itoje; 3 Stuart, 2 Dan, 1 Genge.
A disposizione: 16 George, 17 Rodd, 18 Cole, 19 Ribbans, 20 Ludlam, 21 Care, 22 Ford, 23 Lawrence

Argentina 15 Cruz Mallia; 14 Boffelli, 13 Cinti, 12 De la Fuente, 11 M. Carreras; 10 S. Carreras, 9 Cubelli; 8 Isa, 7 Kremer, 6 Gonzalez; 5 Rubiolo, 4 Petti; 3 Gomez Kodela, 2 Montoya (c), 1 Gallo.
A disposizione: 16 Creevy, 17 Sclavi, 18 Bello, 19 Alemanno, 20 Bruni, 21 Bazan Velez, 22 Sanchez, 23 Moroni.





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