Lenny Kravitz – 5 (1998)


Con il quinto album 5, Lenny Kravitz conquista il grande pubblico.

Attivo sulle scene musicali dal 1989, dai tempi del bellissimo esordio “Let Love Rule”, Lenny Kravitz è uno di quegli artisti che, pur suonando contemporanei e legati agli anni ‘90, sanno creare musica capace di riportare ai mitici anni ‘70. Oltre ad avere dalla sua parte l’immagine ben curata e da sex-symbol, il cantante newyorchese è polistrumentista, arrangiatore e produttore di sè stesso. Un po’ come Prince, pur essendo meno sperimentale rispetto a quest’ultimo, e con il quale ha anche avuto modo di esibirsi e suonare ai tempi del tour dell’album “Rave Un2 The Joy Fantastic”( del genio di Minneapolis). Dopo un decennio come gli anni ‘80, caratterizzato da elettronica new-wave, irrompe sulle scene Lenny, precisamente  nel 1989,  proponendo il suo esordio “Let Love Rule”. Con questo disco dava il via al suo cocktail di rock, soul, funk, R&B, blues, folk e psichedelia, un modernariato musicale accessibile ma onesto, in cui il cantante statunitense suona spesso la maggior parte degli strumenti, facendo tutto con un nucleo ridotto di collaboratori (tra cui il fidato Craig Ross), salvo aggiungere di tanto in tanto sezione fiati e orchestra d’archi.

 

 

Il disco protagonista del nostro articolo di oggi, come dice il titolo, è appunto il quinto album della carriera di Lenny. Nonostante il suo ben noto amore per il suono analogico, il polistrumentista statunitense aggiunge anche un pizzico di elettronica, grazie all’efficace utilizzo della drum-machine. Basta farsi deliziare da ottimi brani soul-R&B come “I Belong To You”(con l’originale trovata dell’utilizzo del pianoforte giocattolo), “Thinking Of You”(pezzo dedicato alla madre allora da poco defunta) e “If You Can’t Say No”, in cui l’impeccabile utilizzo della drum-machine lo avvicina al neo-soul alla D’Angelo ed Erykah Badu. Non mancano tracce super-funky come “Supersoulfighter”(con ai cori Angie Stone), “Take Time” e lo strumentale “Straight Cold Player”(con la partecipazione alla batteria di Cindy Blackman e una breve citazione di “Freedom Jazz Dance” di Eddie Harris). E c’è anche spazio per il funk-rock del singolo “Fly Away” e un’apprezzabile cover di “American Woman”, classico del 1970 dei The Guess Who. All’inizio della sua pubblicazione “5” non convinse la critica. Venne definito inferiore rispetto ai precedenti 4 album, ma in seguito al successo dei singoli portanti e alle crescenti vendite successive, il lavoro venne rivalutato.

 

 

Grande merito di Lenny Kravitz è stato quello di aver riportato in auge, verso la fine degli anni ‘80, il gusto per la musica suonata live, un suono che ripesca a piene mani dal soul, dal funk di artisti come Sly & The Family Stone, Curtis Mayfield, Betty Davis (a cui deve molto per l’unione di funk e rock), ma anche grandi nomi del rock come i Beatles, i Led Zeppelin e Jimi Hendrix. Pur essendo meno sperimentale e forse anche meno innovativo rispetto a Prince, Lenny è capace di produrre nella sua arte il riassunto di tutte le forme della black-music, attraverso uno stile multi-sfaccettato, carico di senso del groove, mainstream ma allo stesso tempo dignitoso e onesto. E l’ascolto di “5”, a 25 anni dalla sua uscita, riesce sempre a regalare più di 65 minuti di musica autentica e carica di vitalità. A volte non è necessario creare nuovi stili o sperimentare nuove soluzioni armoniche, ma si possono ripescare suoni debitori del passato personalizzandoli, per avvicinare così nuove generazioni al gusto per la musica suonata con veri strumenti. E Lenny Kravitz ce lo dimostra, come per dirci che, prendendo come  riferimento i mitici anni ‘70, non si sbaglia mai. Rock on Lenny!

Francesco Favano 

 





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