La
storia del calcio italiano
di
Alessandra Mura - Slide Sassari
Il
calcio come scuola di vita, i suoi progetti ad Alghero dove vive
insieme alla sua famiglia
I
lettori di Slide saranno felici di leggere questa intervista
realizzata con Antonello Cuccureddu, non solo perché si racconta uno
dei più grandi calciatori del calcio italiano, ma soprattutto per
l’insegnamento di vita che il Mister trasmette ai ragazzi che oggi
affrontano il mondo del calcio
Iniziamo
dall’inizio. Brutto da dire, ma di grande significato. L’inizio
si chiama Pino Cuccureddu, il papà di Antonello, grande allenatore
che trasmise non solo il talento ma anche la passione per il calcio
ai suoi figli.
Quando
ha iniziato Antonello a giocare a calcio?
Ero
alto forse meno del tavolino, ma maneggiavo la palla da quando
gattonavo. Mio padre allenava, ha lavorato sempre con i ragazzi, con
i giovani e io giocavo con lui tutti i giorni. Non solo mi ha
incoraggiato, ma la verità è che in quegli anni non c’era
nient’altro. La nostra scuola di vita era la strada e il pallone.
Si giocava dappertutto, nel campo, per strada, in spiaggia, eravamo
noi e il pallone. Oggi non è più cosi.
E
com'è oggi?
I
ragazzi vogliono tutto, subito, ne non hanno strutture, se non hanno
la tecnologia, non giocano. Non dico che non ci siano le società, ma
non ci sono motivazioni, serietà di creare e andare avanti, non ci
sono obbiettivi di crescita, non ci sono esempi. E’ vero che i
soldi fanno tutto o quasi ma il talento non arriva con il denaro, la
motivazione non arriva con i soldi.
E
come dovrebbe essere invece?
Ci
vogliono le persone giuste, ci vogliono le capacità e una grande
serietà. Fare calcio, non basta la fortuna, ci vogliono requisiti,
fortuna, capacità, bisogna arrivare ma riuscire a mantenere la testa
sulle spalle. Io ho fatto un ascesa incredibile, sono stato bravo a
mantenere ciò che ho desiderato dall’inizio. Lo dicevo sempre a
mio padre: “Io arriverò in serie A”. Lo dicevo da quando avevo 6
anni e ho portato avanti i miei sogni con enormi sacrifici.
Sei
stato tenace.
Desideravo
avere quella maglia, desideravo dimostrare quanto valevo. Questo è
il motore di tutto. Sono partito dal Fertilia nel ’67, l’anno
dopo passai alla Torres. Un ragazzo di Alghero arrivato dal nulla che
passa dal Fertilia alla Torres che in quegli anni era in serie C, ha
fatto un enorme risultato. Ma non mi bastava. A volte i sogni si
realizzano no? Per me è stato così. Passai al Brescia dopo una sola
stagione con la Torres, che quell’anno era retrocessa in serie B.
Su 34 partite ne avevo fatte 25. Da Sassari arrivare al Brescia in
pochi mesi, se solo lo racconto non ci credo. Mi dovevo far trovare
preparato, e lo ero. Ero pronto a tutto, ho colto l’attimo, ho
studiato, mi sono allenato tanto, sapevo che dovevo salire sul treno
in corsa. Dovevo diventare un professionista serio. Arrivavo dalla
strada, dovevo dimostrare che lo ero, un professionista. Così è
stato. I sacrifici fatti oggi nemmeno se li sognano. Viaggiavo, ero
stanco morto alla sera ma la mattina ripartivo con la carica a mille.
Non andavo più la sera con gli amici in giro, mi ritiravo dopo gli
allenamenti. Dovevo pensare solo al mio sogno.
Dal
Brescia alla Juve, ci racconti questo passaggio?
Non
riesco nemmeno a raccontarlo. Ma potete immaginare. In due anni sono
passato dal Fertilia alla Juve. Io ci giocavo alle figurine con quei
campioni lì, con i campioni con i quali dopo due anni mi sono
trovato a condividere il campo. Avevo vent’anni, mi sentivo baciato
da Dio. Una cosa straordinaria, nemmeno ci credevo.
Cosa
è successo?
Dopo
che il Brescia era tornato in serie A, io non fui convocato nella
prima partita di campionato, nemmeno in panchina. Mi hanno lasciato
in tribuna. E non capivo, ho accettato la scelta del mister e ho
seguito i miei compagni dalla tribuna. La seconda partita di
campionato la stessa cosa. In tribuna. Non capivo davvero. Nemmeno in
panchina, la cosa mi sembrava impossibile. La terza domenica la
stessa cosa, mi ritrovai in tribuna. Ero talmente arrabbiato dentro,
nonostante avessi sempre tenuto un atteggiamento dignitoso, che alla
fine dissi al Mister: “Ma perché mi sta lasciando in tribuna?
E
lui cosa ti rispose?
Il
Mister mi rispose: “Perché tu non sei ne in campo ne in panchina
ne in riserva, tu devi andare a giocare con la Juventus”. Per la
prima volta ho sentito le gambe tremare. Ero stato trasferito alla
Juve e non potevo giocare nemmeno una partita altrimenti non sarebbe
stato valido il passaggio. Da quel momento la mia vita cambiò. Con
la Juve ho giocato 12 anni.
Ti
ricordi l’esordio?
Eccome.
Io ho esordito giocando contro la mia terra , in Sardegna, contro il
Cagliari a Cagliari con la maglia numero 10 e ho pure segnato. Mi
ricordo persino il paginone di apertura dell’Unione Sarda, il
quotidiano sardo, con un titolo tutto per me: “Malu fizzu”
(figlio cattivo).
Come
andò quell'anno?
Quell’anno
il Cagliari vinse il campionato e la Juve arrivò seconda. Sono stati
12 anni meravigliosi, io piacevo a tutti, la nostra era una grande
squadra. Eravamo professionisti, non c’erano figli e figliastri, si
lavorava tanto , ma sono stato sempre trattato con i guanti. Dopo la
Juve sono arrivato alla Fiorentina. Dall’80 in poi tornarono gli
stranieri, avevano riaperto le frontiere. Arrivò Platinì, quei
campioni li. Alla Fiorentina arrivavano soprattutto gli argentini,
erano tutti dei grandi campioni. A
Firenze chiusi con la Serie A nel 1984, a causa di vari infortuni.
Tu
ti facest male in quell'anno.
Durante
il passaggio alla Fiorentina mi infortunai dopo uno scontro con il
portiere. Rimasi fermo sette mesi. Poi quando stai fermo una stagione
e rimani ingessato dal bacino alla caviglia è dura ricominciare.
Cuccureddu
allenatore. Da protagonista dentro al campo a regista di grandi
campioni.
Tra
gli anni 1980 e 1990 guidai le giovanili della Juventus vincendo,
nella stagione 1993-1994, il Campionato
Primavera e
il Torneo
di Viareggio.
Sono contento di aver contribuito a formare quello che ancora oggi è
un grande campione, Alessandro Del Piero.
Nel 1998 abbiamo
conquistato l'ottava posizione con l'Acireale,
in Serie
C1.
E dopo una fugace esperienza alla guida della Ternana nel 1998-1999,
in serie
B, passo
ad allenare il Crotone,
sempre in C1.
Con
il Crotone fu un enorme successo.
Abbiamo vinto il
campionato ed ero stato osannato dai dirigenti, dalla squadra, dai
giocatori e dalla gente. Mi ricordo ancora le emozioni di quell’anno.
Nel 2004 andai all’Avellino, me ne andai a 4 partite dalla fine,
avevo litigato con il direttore sportivo. Ma oggi raccontarlo non ha
importanza, l’unica cosa che contava era che l’Avellino salì in
serie B. L’anno dopo tornai nella mia terra alla Torres.
Quell’anno facemmo i play off.
Poi
nel 2007 andasti al Grosseto giusto?
Esatto,
dove vincemmo il campionato. Prima di arrivare a Grosseto, rimasi
fermo due mesi. E mi chiamò il presidente del Grosseto, che
conoscevo bene. Il Grossetto era quanrt’ultima, la allenava Allegri
che era stato esonerato. Beh, la mia più grande soddisfazione è che
abbiamo vinto il campionato. Io ho sempre fatto il massimo sia da
giocatore che da allenatore. Ho un difetto, non ho mai accettato i
compromessi, ho sempre agito per come sentivo, sia d’istinto che di
testa. Ho le mie regole, se non le rispetti non riusciamo ad andare
d’accordo. Sono stato sempre così, anche un po’ rigido in campo
ma sapevo che dovevo dare l’esempio, Ho una storia dietro, dovevo
far capire che per arrivare bisognava sudare. Alla dirigenza spesso
ero un po’ scomodo ma sapevo che era l’unico modo per vincere. E
così è sempre stato.
Oggi
Cuccureddu ha altri sogni nel cassetto?
Sempre,
i sogni non mi abbandonano mai. Intanto voglio realizzare un centro
sportivo nella mia città, ad Alghero, spero di riuscirci. E poi non
mancherò mai di ricordare che i sogni si realizzano solo se oltre al
talento, si possiede la forza interiore fortissima, quella che ti fa
fare cose oltre le tue capacità fisiche, oltre le cose che tu stesso
pensi. Oggi posso dire con fierezza che la gente mi ricorda per
questo e che chi mi ferma per strada lo fa perché ha davanti un uomo
normale che ha dimostrato di diventare una stella del calcio con la
tenacia e la forza che appartiene ai sardi e ai vincenti, nella testa
e nel cuore.